La degenerazione dei periciti porta alla disgiunzione neurovascolare nel
cervello
ROBERTO COLONNA
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 04 febbraio 2017.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
I periciti, cellule murali perivascolari dei capillari del cervello a lungo considerati semplici elementi di supporto, sono divenuti oggetto di intensi studi per la loro centralità morfofunzionale nell’unità neurovascolare (NVU) tra le cellule endoteliali, gli astrociti e i neuroni. Tale posizione, che consente loro di regolare funzioni neurovascolari chiave del cervello, ha attratto l’attenzione della nostra società scientifica che oltre tre anni or sono ha costituito un gruppo di studio per l’aggiornamento periodico sui nuovi studi che riguardano queste cellule.
Proprio questo gruppo di studio ci ha segnalato un interessante lavoro condotto da un team di ricercatori, guidati da Kassandra Kisler e coordinati da Berislav Zlokovic, che ha studiato le conseguenze della degenerazione dei periciti sulla fisiologia cerebrale, ottenendo informazioni interessanti per la comprensione di aspetti patologici di varie malattie neurologiche, inclusa la malattia di Alzheimer.
(Kisler K., et al. Pericyte degeneration leads to neurovascular uncoupling and
limits oxygen supply to brain. Nature
Neuroscience – Epub ahead of print doi:10.1038/nn.4489, 2017).
La provenienza degli autori è la
seguente: Department of Physiology and Biophysics and the Zilkha Neurogenetic
Institute, Keck School of Medicine of the University of Southern California,
Los Angeles, California (USA); Department of Neurobiology, Institute for
Biological Research, University of Belgrade (Serbia); Department of Physics,
University of California, San Diego, La Jolla, California (USA); Department of
Neurobiology, Chongqing Key Laboratory of Neurobiology, III Military Medical
University, Shapingba District, Chongqing (Cina); Department of Radiology,
Harvard Medical School, Charlestown, Massachusetts (USA).
Prima di esporre i contenuti dello studio di Zlokovic, Kisler e colleghi, quale introduzione all’argomento si riporta una sintesi della relazione introduttiva di Giovanni Rossi per il gruppo di studio sui periciti già pubblicata il 18 maggio 2013 con il titolo Alla scoperta dei periciti del cervello.
Oltre un secolo fa il ricercatore francese C. M.
Rouget descrisse per primo una popolazione di cellule residenti nella parete
dei vasi capillari, disposte ad avvolgere esternamente lo strato di cellule
endoteliali costituenti la superficie interna dei più piccoli vasi del corpo.
Queste cellule, dette in passato cellule murali o cellule di Rouget, furono
battezzate periciti per la loro sede
perivascolare e descritte in minuto dettaglio grazie all’osservazione al
microscopio elettronico.
Dopo un lungo periodo in cui sono stati relegati fra
gli argomenti specialistici dell’istologia e trascurati dalla ricerca, i
periciti sono tornati d’attualità soprattutto perché è stato loro riconosciuto
un ruolo nella costituzione dell’unità neurovascolare (NVU, da neurovascular unit). Si ricorda, in
proposito, che un gran numero di dati sperimentali ha suggerito che le funzioni
encefaliche sono in gran parte determinate da una complessa interazione di
differenti tipi cellulari, quali elementi gliali, neuroni, cellule
dell’endotelio cerebrale e periciti, dando origine al concetto di unità
neurovascolare (NVU). Una delle funzioni principali della NVU è la costituzione
di un’attiva interfaccia fra il sangue dei capillari del sistema nervoso
centrale e il fluido extracellulare dei neuroni e della glia, cui si da il nome
di barriera emato-encefalica (BEE o, in inglese, BBB, da blood-brain barrier)[1].
Attualmente si ritiene che una parte importante della flessibilità di risposta del sistema nervoso centrale alle
necessità critiche dell’organismo e alle richieste neurofisiologiche interne,
derivi dall’orchestrazione funzionale di un’enorme rete eterogenea ed
integrata, cui prendono parte neuroni, astrociti, microglia, periciti, cellule
muscolari lisce dei vasi e cellule endoteliali che, insieme, costituiscono
appunto l’unità neurovascolare.
Le funzioni dei periciti e il ruolo che sembrano avere
in molti stati patologici del cervello, hanno attratto l’attenzione di numerosi
ricercatori, ma la maggior parte della comunità neuroscientifica rimane
distante, perché poco preparata su questo argomento che, d’altra parte, spesso
non è specificamente trattato ai corsi di formazione universitaria. Per questo
motivo, la nostra società scientifica intende dare il suo piccolo contributo
nel suscitare l’interesse dei giovani per lo studio di queste cellule.
A tale scopo, abbiamo incaricato un gruppo di studio
di fare il punto delle conoscenze acquisite, mediante un’accurata revisione
delle pubblicazioni scientifiche degli ultimi due decenni e una cernita dei
lavori più importanti di epoca precedente; al termine, saranno redatte delle
brevi rassegne sulle questioni di maggiore interesse e sui principali problemi
che la sperimentazione dovrà affrontare[2].
In estrema sintesi, cercherò di presentare gli aspetti
su cui credo che maggiormente si dovrebbe indagare. Prima di ogni cosa, vorrei
soffermare l’attenzione sull’identità dei periciti. In proposito, ricordo che
un principio istologico di base vuole che, quando si abbiano dubbi
sull’identità di una cellula, ci si rivolga all’embriologia: l’origine spesso
fornisce un orientamento prezioso. La problematicità dei periciti si rende
evidente fin da questo punto: una parte di essi origina dal mesoderma, come le
ossa e i muscoli, e un’altra dall’ectoderma, in particolare dalla cresta
neurale, dalla quale origina il sistema nervoso periferico, le cellule del
sistema diffuso APUD (amine precursor
uptake and decarboxylation) e la midollare del surrene (Winkler e coll.,
2011).
I periciti, posti all’esterno dei capillari e separati
dalle cellule endoteliali solo da una membrana basale comune, sono molto più
numerosi nei vasi che prendono parte alla costituzione della barriera fra
sangue e cervello. La loro collocazione sembra essere strategicamente
intermedia fra due compartimenti biofisici, biochimici e biologici: la parete
endoteliale a diretto contatto col sangue e i processi terminali degli
astrociti che danno luogo alla glia limitante, con la sua membrana basale
altamente selettiva. Di passaggio, si ricorda che lo stretto contatto dei
periciti e delle cellule endoteliali con la lamina basale della glia, non è
possibile nei vasi non capillari dove è inibito dagli spazi di Vircow-Robin
(VRS).
Fisiologicamente i periciti sono stati considerati dei
fagociti, perché la loro capacità fagocitaria è ben documentata e nota da
tempo, ma sembrano implicati in una serie di altre funzioni, fra cui la
contrazione dei capillari, la regolazione della proliferazione endoteliale e
l’angiogenesi. L’importanza dei periciti nella formazione della BEE è
illustrata da quanto accade in loro assenza: iperplasia endoteliale,
vasculogenesi abnorme ed eccessiva permeabilità della barriera (Armulik e
coll., 2010).
Per definire con precisione le funzioni di queste
cellule è necessaria una loro identificazione certa, per la quale vi sono
ancora molti problemi. Considerato il prerequisito della collocazione
perivascolare, si impiegano criteri ancora insoddisfacenti. I periciti
esprimono antigeni quali PDGRFβ, pAPN/CD13, α-actina del muscolo
liscio, NG2 ed RGS5, che consentono spesso, ma non sempre, un preciso
riconoscimento della popolazione cellulare. Infatti, nessuna di queste molecole
rappresenta un marker specifico,
perché può essere presente nelle cellule adiacenti ed avere una maggiore
espressione in condizioni sperimentali. Un grado di certezza molto elevato si
può avere solo con la morfologia, ad un livello ultrastrutturale in sezioni
semi-sottili[3].
Detto che nel campo dell’identificazione è necessario
fare dei progressi significativi per la facilitazione dello studio funzionale,
il secondo aspetto all’attenzione della ricerca dovrebbe essere la
partecipazione dei periciti a sistemi di segnalazione a cascata (PDGF-β,
TGF-β, Notch e angiopoietina). I dati preliminari di cui si dispone
suggeriscono che un approfondimento potrebbe riservare molte sorprese.
Il profilo funzionale attualmente noto può essere
sintetizzato in tre principali ruoli:
1) regolazione
della BEE;
2) funzione
complessa e dinamica nell’angiogenesi;
3) controllo del
diametro dei capillari e del flusso ematico.
Una migliore conoscenza della fisiologia, certamente
contribuirà a gettare luce sui molteplici ruoli che i periciti sembrano avere
in vari processi patologici.
La perdita di periciti è un elemento distintivo della retinopatia diabetica, frequente e
temibile complicanza del diabete mellito di tipo I e II.
Un fattore di fondamentale importanza per la crescita
e l’espansione tumorale è lo sviluppo
di una rete vascolare all’interno della neoplasia, perciò non meraviglia che i
periciti siano divenuti il bersaglio di nuovi farmaci antineoplastici. In
realtà, in terapia oncologica, le strategie volte ad impedire l’angiogenesi
mediante il blocco della crescita endoteliale con inibitori del VEGF, si sono
rivelate inefficaci, perché spesso i periciti rimangono in sito esercitando un
ruolo in grado di consentire la formazione dei nuovi vasi. Alcuni esperimenti
hanno mostrato che i periciti forniscono una sorta di impalcatura in grado di
favorire, appena rimossa l’inibizione del VEGF, una rapida ricrescita di vasi
tumorali. È stata perciò suggerita una combinazione di farmaci con azione
sinergica, per colpire contemporaneamente la proliferazione di cellule
endoteliali e la sopravvivenza dei periciti. Recentemente, l’aminopeptidasi N
(APN) in combinazione con terapie antiendoteliali, ha prolungato la vita di
topi portatori di neuroblastoma umano.
Su questa base, è auspicabile che la sperimentazione
terapeutica individui nuovi farmaci antipericitici in grado di contribuire al
fine di privare il tessuto canceroso del supporto vascolare necessario alla
sopravvivenza e alla crescita della massa cellulare patologica.
Lo studio sperimentale della NVU di roditori mancanti
di periciti, ha fornito interessanti elementi per la formulazione di ipotesi
sperimentali sul ruolo di questa popolazione cellulare in molte patologie
dell’encefalo. Ad esempio, è stato evidenziato che tale deficit cellulare,
causando la perdita delle principali funzioni della BEE, determina un fenotipo neurodegenerativo
caratterizzato da stravaso tossico di proteine del plasma e da cronica
ipoperfusione con conseguente ipossia (Bell e coll., 2010).
La definizione del ruolo dei periciti in singoli e specifici processi patologici, come la malattia di Alzheimer, rimane un importante obiettivo della ricerca, che potrebbe fornire soluzioni terapeutiche attualmente impensabili.
Concludendo questa introduzione, all’auspicio comune
che siano finanziati e avviati molti lavori di ricerca su questo interessante
tipo cellulare, voglio unire un desiderio personale, quello che si chiarisca un
mio antico dubbio: i periciti sono davvero delle cellule poste staticamente a
formare una componente esterna della parete vascolare o non sono piuttosto
elementi mimetici, estremamente mobili e versatili, in grado di assumere ruoli
ed identità fenotipiche diverse? Se tale ipotesi si rivelerà fondata, si dovrà
scrivere un nuovo capitolo della biologia cellulare e, molto probabilmente,
sarà proposto anche un nuovo nome per questo tipo di cellule[4].
Il ruolo esattamente svolto dai periciti nella regolazione del flusso ematico cerebrale (CBF, cerebral blood flow) e vari aspetti dell’accoppiamento neurovascolare rimangono oggetto di ricerca e dibattito. Berislav Zlokovic, Kassandra Kisler e colleghi, impiegando topi deficitari nella funzione pericitaria (loss-of-function deficient mice), hanno dimostrato che la degenerazione dei periciti diminuisce la risposta a stimoli neurali del CBF capillare, sia globale che individuale, con il risultato di un disaccoppiamento neurovascolare, una ridotta fornitura di ossigeno al cervello e stress metabolico.
I deficit neurovascolari portano, nel tempo, ad alterata eccitabilità neuronale e a cambiamenti neurodegenerativi. Su questa base si può osservare che la degenerazione che è stata osservata in patologie neurologiche come la malattia di Alzheimer può contribuire alla disfunzione neurovascolare e alla neurodegenerazione associata alla patologia umana.
L’autore della nota ringrazia la
dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla
lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE
E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
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[1] Il corretto funzionamento dell’encefalo dei vertebrati richiede una precisa regolazione del microambiente interno e uno stato stabile dei livelli di ioni, neurotrasmettitori, ormoni ed altre sostanze biologicamente attive. A questo fine, si sono evolute due barriere che agiscono da filtri attivi e selettivi: la barriera fra il sangue dei plessi corioidei e il fluido cerebrospinale dei ventricoli cerebrali e la barriera emato-encefalica.
[2] Il presente scritto è una sintesi della relazione introduttiva che ho tenuto all’incontro con i membri del gruppo e i numerosi soci intervenuti venerdì 17 maggio 2013.
[3] Non è l’ideale per lo studio funzionale; per chi non abbia specifiche competenze può essere efficace un paragone: è come studiare la funzione di un organo del corpo da reperti autoptici.
[4] Note e Notizie 18-05-13 Alla scoperta dei periciti del cervello.